Luciano De Crignis, Lucio Trucco e Fabio Iachini: dal Cervino con gli sci
(Fausto Coradduzza)

Hanno firmato insieme un’impresa di estrema difficoltà, il racconto della vertiginosa discesa dalla parete Est

Chi la frequenta, in una sua qualsiasi pratica, rimane sempre affascinato dalla montagna. Di una impresa, e possiamo proprio chiamarla impresa, si è reso partecipe il carnico Luciano De Crignis (non nuovo a queste gesta: nei primi anni 80, per esempio, discese sugli sci con altri compagni di cordata, per la risalita, dal McKinley), assieme a Lucio Trucco di Cervinia e Fabio Iachini di Macugnaga (112 anni tutti insieme, ma di grande esperienza): il primo 48, il secondo 30 e Iachini 34. Il terzetto ha effettuato, nell'estate scorsa, con gli sci, la discesa della parete Est del Cervino: una pendenza che va dai 45° ai 55° per un dislivello di 1.000 metri. Da quota 4.150 circa si scende ai 3.150 metri.
Questa impresa non è nata per caso, ma è maturata, se vogliamo, nel tempo... Bisogna risalire al 1931 quando il nonno materno di Lucio Trucco, Luciano Carrel, ha scalato, assieme al fratello, per la prima volta, quella parete. Il nipote Lucio, rimasto affascinato da tanto coraggio, ha pensato che avrebbe potuto ripercorrere quella via, però in senso inverso.
Trovati casualmente due compagni, e tutti e tre «affascinati dalla bellezza di questa montagna – dice Luciano De Crignis – abbiamo concertato la spedizione. Si tratta di una parete molto impegnativa e alla portata di pochi sciatori al mondo». Le grosse difficoltà stanno, tra l'altro, nell'innevamento. «È, infatti, una parete con grande pendenza – prosegue De Crignis – e inoltre è estesa ed esposta a est. Alle 6 del mattino il sole già la bacia e qualche grado in più di temperatura porta a scaricare il manto nevoso».
L'appuntamento è a Cervinia e il tempo è brutto. I primi a raggiungere il centro montano sono lo stesso De Crignis e Trucco. Iachini li raggiunge non appena il tempo è favorevole. Dopo tre giorni di condizioni metereologiche negative e con nevicate in quota il tempo migliora.
«Lunedì 10 giugno, sentite le previsioni favorevoli per almeno due giorni – continua De Crignis – decidiamo di partire. La mattina dopo, di buonora, equipaggiati di tutto punto, prima avvalendoci di un fuoristrada e, quindi, di una motoslitta, raggiungiamo il Plateau Rosa e ci fermiamo al Rifugio delle Guide, a quota 3.480, luogo di partenza per alpinisti ed escursionisti. Verso le 10 ci congediamo dai presenti e iniziamo la nostra avventura».
Luciano De Crignis si abbandona nella descrizione con la mente rivolta a quei luoghi. «Lo sci, mezzo fantastico, ci porta, scivolando sicuro, verso la parete e quindi verso la Svizzera, verso la Cresta dell'Hornly. Riposiamo al rifugio omonimo, a quota 3.260, e la mattina successiva riprendiamo l'avventura».
Nella trasferta verso l'Hornli i magnifi tre devono fare i conti anche con le valanghe che si staccano dalla parete Est a causa della temperatura che si è alzata «quel tanto che basta». Si notano bene anche i segni lasciati da precedenti valanghe. «Affondiamo nella neve fino alle ginocchia, ma raggiungiamo il rifugio dal quale daremo il via al nostro sogno per raggiungere, con la scalata,il punto ideale per la discesa sugli sci. Sappiamo che con il freddo della notte la neve si compatterà; tutto sarà silenzio e queste distese bianche ci daranno la garanzia che cerchiamo. Partendo la mattina presto potremo raggiungere il punto delle discesa con maggior sicurezza».
«Al rifugio invernale siamo gli unici ospiti. Accendiamo il fuoco ristoratore, ceniamo e, quindi, alle 21, ci corichiamo. Io dormo poco pensando alle difficoltà, alle possibili incognite. Lucio Trucco dorme bene. Fabio Iachini è piuttosto tormentato, come lo sono io. Per entrambi l'orologio è un tiranno: lo consultiamo continuamente. Il tempo non passa mai. La sveglia è alle 3; il tempo è bellissimo, ideale. Partiamo alle 4».
L'avventura comincia. «Sci ai piedi, pile frontali, attraversiamo per 200 metri la parete est, siamo a quota 3.353. Dopo una breve sosta sistemiamo sugli zaini gli sci da discesa (7 chili di peso) dotati di attacchi da gara tirati e bloccati. I miei sono tarati a 140 chili; da notare che ne peso 65. Scarponi da discesa ai piedi muniti di ramponi e con la picozza a maggior sicurezza iniziamo l'ascensione. Una ripida traversata di 2-300 metri ci porta sul punto debole del pendio che ci permette di salire. Lucio in testa, quindi io; chiude la fila Fabio. Procediamo liberi, le corde sono ben sistemate sullo zaino assieme agli sci. Siamo liberi. Lucio sembra sentire la presenza del nonno; è scatenato, non si ferma un momento e noi lo seguiamo con altrettanto entusiasmo».
«Dai 45° iniziali il pendio diventa più ripido. Alle 6 il sole bacia la parete con i suoi primi timidi raggi, illuminandola di una luce trasversale fantastica. Siamo già alti. Alle 7.30, su una pendenza di 55° raggiungiamo quota 4.150. Decidiamo di non procedere oltre anche se la spalla da dove si potrebbe iniziare la discesa più agevolmente è vicina. Temiamo, infatti, con la comparsa del sole, i pericoli oggettivi: caduta di sassi e di neve».
Dal punto in cui si trovano, i tre predispongono con molta difficoltà le piazzole per la partenza. Prosegue De Crignis nel racconto: «Mi assicuro a un picchetto, indosso gli sci, ma faccio molta fatica a chiudere gli attacchi. Io attenderei ancora qualche minuto prima di lanciarci nel mezzo dell'avventura, ma i miei compagni sono impazienti, sia di iniziare la discesa, sia di uscire quanto prima dalla parete. Nella parte alta, la più ripida, le lamine degli sci non lasciano alcun segno sulla neve gelata: è vietato sbagliare o distrarsi. Siamo sicuri dei nostri mezzi e delle nostre capacità; inoltre abbiamo fiducia reciproca totale; siamo qui perché amiamo la montagna e perché vogliamo sciare su questa parete: un’impresa che legherà la nostra amicizia per tutta la vita».
De Crignis, poi, racconta della discesa: «Nel tratto iniziale, soprattutto, le prime curve le eseguo un po’ impacciato; proseguendo, l’azione diventa più fluida fino a trovare la piena padronanza dei miei movimenti e delle mie potenzialità. Nessuna inquietudine mi passa per la mente; evito di distrarmi; l'unico imperativo è quello di non sbagliare. Durante la discesa rimane anche il tempo per scattare qualche foto. Poche, però, anche se il momento particolare inviterebbe ad approfittarne. La mente e il corpo sono concentrati tutti sul raggiungimento della meta».
«Ci sarebbe piaciuto – continua – immortalare i vari momenti della discesa. Purtroppo siamo stati troppo... bravi. Il padre di Lucio, Giuliano, partito da Cervinia per attenderci e scattare le fotografie che dovevano documentare i momenti salienti, ha sottovalutato i nostri tempi e, quindi, arriva in ritardo: siamo ormai alla base della montagna. L'avventura si è già conclusa».
«Considerata la pendenza e la neve durissima, – prosegue De Crignis – devo confessare che facevo più fatica a stare fermo che a sciare. Siamo giunti quasi in fondo. La neve ora inizia a essere più morbida. Raggiungiamo il canalino che ci porta dalla parete al grande seracco che fa da appoggio a tutta la parete est: una di lastra di ghiaccio di almeno 50 metri. Oramai pur rimanendo una "pista" impegnativa, ora viaggiamo su pendenze accettabili. Uno di seguito all'altro scendiamo il pendio finale. L'innevamento dell'inverno ci permette di superare il crepaccio terminale senza difficoltà. Il ritmo sempre più veloce, finalmente, ci porta in discesa libera nei pianori sottostanti la Parete Est al di là dei pericoli oggettivi e delle difficcoltà».
De Crignis, interpretando anche lo stato d'animo dei compagni di viaggio dice che «non ci sembra vero di aver raggiunto la nostra meta. Sono le 8.20, mi comunica Fabio. Abbiamo impiegato poco più di 30 minuti per la discesa con gli sci, a fronte delle tre ore e mezza di risalita. Ci stringiamo la mano e ci abbracciamo, consapevoli di avere effettuato una bella impresa: abbiamo "violato", in discesa, una parete così grande, così importante, così conosciuta in sola mezz'ora. Ci sentiamo premiati soprattutto per la serietà e l'impegno con i quali ci siamo preparati e abbiamo voluto realizzare questo sogno, soprattutto per Lucio Trucco, a ricordo del nonno, ma anche per noi. Mutuando un detto latino potremmo ben dire "nullo die sine linea": non passi un giorno senza aver appreso qualcosa, senza avere fatto qualcosa. E per noi, che sentimaoi la montagna come la nostra vita, abbiamo fatto molto».
De Crignis, a questo punto, si lascia andare a confessioni, più che considerazioni. «Può darsi – confida – che con questa discesa si chiuda un capitolo della mia vita di sciatore alpinista. Fortunatamente non sono capace di sognare e a tal proposito mi vengono in mente le parole di Oscar Wilde che ho letto in un libro che parla di montagna. "Vi sono solo due tragedie nella vita di un uomo, una quando non si raggiunge la propria meta, l'altra quando tutte le mete sono state raggiunte. Questa è la vera tragedia". Credo, come sciatore e alpinista, di non essere esposto a questo pericolo».
Prima dei tre nostri quella parete era stata "violata" con gli sci da Toni Valleruz nel maggio del 1976 e da Jean Marc Bovin il 6 giugno del 1980 che aveva iniziato la discesa da 4.250 metri di quota, punto massimo da dove si può scendere con le "tavole" al piede.


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