«La Carnia muore nel degrado»
(Maurizio Cescon)

La Chiesa friulana già nel ’67 aveva denunciato le precarie condizioni della montagna

Corgnali: «Bisogna fare presto. Tecnologia, turismo e ambiente le risorse da sfruttare»


New economy e turismo. Sono le ultime due carte in mano alla montagna friulana per tentare di sopravvivere a un declino che si trascina da decenni. E’ questa la convinzione di monsignor Duilio Corgnali, presidente ed editorialista del settimanale diocesano Vita cattolica (del quale è stato per lunghi anni direttore), già direttore di Radio Spazio 103, parroco di Sedilis di Tarcento, nonchè una delle voci più ascoltate e autorevoli della chiesa udinese.
Il primo grido di dolore della Curia sulle sorti della Carnia risale al ’67, quando 529 preti firmarono un documento di denuncia sul degrado di quelle terre. «Sono passati 35 anni invano – dice scuotendo la testa Corgnali –. Eppure ci sono stati i documenti del ’77, all’indomani del terremoto, la pastorale dell’87 e il convegno del novembre del 2000. L’ultimo atto dell’arcivescovo Battisti è stato proprio quello di rianimare il dibattito sui problemi della montagna: pensava di essere in debito con i carnici e avvertiva il loro disagio, quasi interiorizzato. Abbiamo intenzione di proseguire quest’opera. La prossima settimana si riunirà il comitato per la montagna e chiederà un confronto con Regione e Provincia. Vogliamo rappresentare l’animo inquieto che possa far riaffiorare i problemi per tentare di risolverli».
Difficile pensare, però, che trenta, quarant’anni di incuria e di indifferenza sulle sorti di un territorio che rappresenta metà della provincia di Udine, possano essere cancellati in un batter d’occhio. Monsignor Corgnali ne è consapevole: «Gli interventi attuati fino a oggi non sono stati strutturali — dice – ma solo di pronto soccorso. La politica ha provveduto a mettere delle toppe in un vestito vecchio quando il buco era troppo grande per non essere visto, poi più nulla. Eppure della Carnia bisogna farne una priorità, altrimenti la perdiamo. Consideriamo questa terra residuale perchè siamo abituati a ragionare in fatto di consenso politico: pochi abitanti, pochi voti. Ma se si continua su questa china, la montagna possiamo dimenticarcela. Bisogna muoversi, sbloccare l’inerzia. Altrimenti si dichiari la Carnia, il Tarvisiano e le Valli del Natisone un parco naturale e quei quattro residenti che restano li facciamo tutti dei guardiani del territorio. Però se è questo l’obiettivo, la politica lo deve dire chiaro».
Eppure la chiesa friulana un suo modello di rinascita ce l’ha. Si parte appunto dall’economia del XXI secolo, quella nata nella Silicon Valley californiana ed esportata nelle zone più remote del mondo e da qualche tempo sbarcata ad Amaro. Un pugno di case, appena 750 abitanti, ma altrettanti posti di lavoro, tutti in aziende "pulite" e tecnologicamente avanzate. «Lì c’è un laboratorio del freddo – dice il direttore di Radio Spazio –, progetti per la microelettronica con la ex Siemens e l’Università di Udine. Un punto di partenza importante». Naturalmente, per corroborare lo sviluppo serve un sistema integrato di economia: «Accanto alla new economy dobbiamo prevedere un turismo moderno e funzionale – spiega Corgnali –, il recupero dell’artigianato, la cura dei boschi. Basti pensare che appena un quarto del terreno boschivo reimpiantato è sfruttato. Il resto è lasciato al proprio destino, con grave danno per il territorio».
Questo è lo sviluppo possibile domani, ma le emergenze di oggi non possono essere messe in un angolo. Parlare di Burgo, nel contesto della Carnia, è inevitabile: troppo forte è stato lo strappo. Da quel 2 febbraio, quando il magistrato ha sollevato il coperchio sull’inquinamento, sul depuratore, sugli scarichi nel Tagliamento, nessuno può più far finta di nulla. Tutti dicevano di sapere, ma tutti hanno sempre taciuto. Corgnali, su questo argomento, è chiaro: «Si tratta di capire se l’azienda vuole avere un futuro o no, se intende investire o meno oppure se punta a dismettere o convertire lo stabilimento. E’ inquietante che i vertici dirigenziali siano sempre rimasti zitti in questa vicenda. Non sappiamo che carte hanno in mano: vogliono spremere fino all’ultimo una fabbrica realizzata nel ’33 e che produce solo utili e poi lasciare una cattedrale nel deserto? Seervono almeno 20 miliardi per salvaguardare un’altra cosa preziosa della Carnia, l’ambiente, la sua acqua, la sua terra, il suo cielo».
Sono in ballo, si potrebbe obiettare, 600 posti di lavoro e se tutta questa gente resta senza uno straccio di lavoro, la Carnia la cancelliamo davvero dalla carta geografica. «E’ necessario tutelare la dignità dei lavoratori e la loro sicurezza economica – sostiene Corgnali –, ma il mio pensiero non è distante da un sindacalista che ha parlato in piazza a Tolmezzo durante la manifestazione dell’11 febbraio: "non dobbiamo impiccare la Carnia al destino della Burgo". In Germania hanno chiuso di recente tre stabilimenti che avevano le stesse caratteristiche della cartiera, ci sarà pure un motivo...».
Proprio dalla mobilitazione di due settimane fa la chiesa vede la possibilità di una stagione nuova. «L’11 febbraio è stato un fatto positivo. Non è facile portare i carnici in piazza. Non ci sono state le solite lamentele, il solito piangersi addosso. Credo che quel giorno sia stata trovata unità, come da tanto non accadeva». Monsignor Corgnali vuole lanciare un appello alla politica, prima che la situazione della montagna diventi insostenibile, prima che sia troppo tardi per fare qualcosa di concreto: «E’ vero, Martini e Tondo sono tolmezzini, lo stesso arcivescovo Brollo è carnico. Ma tre persone da sole non possono risolvere questioni intricate. E’ la politica nel suo insieme che deve trovare un raccordo. Chi ha responsabilità deve trovare il coraggio di rimboccarsi le maniche. Io credo che non ci sia la consapevolezza della gravità della situazione. Non basta rinnovare le Comunità montane, delle scatole vuote riverniciate. Serve restituire alla montagna capacità gestionale e potere decisionale. Ci sono troppi enti presenti in modo caotico, ben venga la provincia di Tolmezzo se serve a razionalizzare o a coordinare. Oppure la Provincia di Udine batta un colpo, se lo sa fare. Non possiamo permetterci che i fondi dell’Ue, vengano dirottati sulle spiagge di Bibione a danno della Carnia, perchè i politici veneti sono più abili dei nostri. In montagna bisogna tornare a vivere bene, altrimenti è la fine».


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