Carnia. Ottica, calzature e tessile in crisi
(Violetta Feletig)

Alla Manifattura di Gemona si è passati da 500 occupati a 185, a Magnano persi 30 posti, centinaia a Tarcento

I sindacati tracciano la mappa del lavoro nell’Alto Friuli. Tengono i settori metalmeccanico, della carta e del legno


Tessile, occhialerie e calzature: sono questi i tre principali settori di crisi occupazione in Alto Friuli. A Gemona si è passati da 500 a 185 addetti, la chiusura del maglificio della Riviera ha provocato la perdita di 30 posti, mentre a Tarcento, al cascamificio, gli addetti sono meno di cento (in passato gli occupati erano parecchie centinaia). Per il settore occhialeria sono rimasti tre gli stabilimenti con 250 addetti. Poche centinaia ancora gli occupati nel settore calzaturiero. Mentre settore metalmeccanico, legno e carta dimostrano una sostanziale tenuta.
É comunque la questione ambientale – e non una crisi del mercato, che pur si è percepita – a porre in questo momento l’incognita più pesante sul futuro dell’occupazione in Friuli, dove i casi recenti di Tolmezzo e di Torviscosa hanno evidenziato un nodo che sempre più spesso è destinato a tornare al pettine se non si prenderanno provvedimenti efficaci.
La temuta crisi, conseguenza diretta dell’11 settembre, dunque non c’è stata; il mondo produttivo friulano, a sei mesi dagli attentati alle Torri gemelle, non si trova a dover raccogliere cocci derivanti da quel fatto e dalle sue ripercussioni sul mondo dell’economia. Il discorso è unanime: non ci sono fabbriche sull’orlo della chiusura, fatta eccezione per pochissimi casi in cui però gli effetti del terrorismo islamico ben poco hanno a che vedere. L’occupazione sembra tenere, e anche il ricorso agli ammortizzatori sociali, pur in una fase di generale rallentamento, rilevato un po’ da tutte le organizzazioni, è stato in questo primo trimestre dell’anno molto contenuto. I mesi che verranno diranno se la fase di stasi era tale oppure se rappresentava solo il preludio a qualcosa di più serio. Certamente dal punto di vista occupazionale non siamo in presenza di una fase particolarmente calda, anche se le organizzazioni sindacali tengono sotto stretta osservazione alcuni settori in particolare, dove i cambiamenti in corso impongono un ragionamento che va ben al di là dell’attuale momento.
Guardando al Friuli nel suo complesso, va subito detto che le grandi realtà, quelle che hanno qui le loro menti pensanti e il processo produttivo, non sembrano risentire di un momento sfavorevole. Diverso è il discorso per le aziende che rappresentano fasi intermedie delle produzioni, molto più soggette a rischi e scelte derivanti da lontano. «Siamo condizionati da fattori che non sono governati da noi e quindi esposti a tutte le variabili
Guardando al Friuli nel suo complesso, va subito detto che le grandi realtà, quelle che hanno qui le loro menti pensanti e il processo produttivo, non sembrano risentire di un momento sfavorevole. Diverso è il discorso per le aziende che rappresentano fasi intermedie delle produzioni, molto più soggette a rischi e scelte derivanti da lontano. «Siamo condizionati da fattori che non sono governati da noi e quindi esposti a tutte le variabili – rileva Glauco Pittilino della segreteria Cgil dell’Udinese e Bassa Friulana –. L’unica di queste variabili a poter essere controllata in questa regione è il costo del lavoro, il che significa far fare più straordinari piuttosto che assumere, oppure assumere i giovani con contratti a termine, di formazione lavoro, o come apprendisti. Significa non investire in aggiornamento e formazione, per non parlare di situazioni che arrivano spesso sui nostri tavoli, con straordinari pagati al nero, salari per metà in busta e per metà fuori busta e via dicendo. Tutte forme che non facilitano l’attaccamento dei giovani alle imprese, pur gratificandoli sotto il profilo del denaro». C’è poi una forma di mobilità dei lavoratori, che per alcune professionalità sono contesi tra le aziende a suon di stipendi: «Poichè si è sempre trascurata la formazione – osserva Pittilino – finisce che i più preparati le aziende se li rubano l’una all’altra. Ma così non sarà mai possibile fare sistema».
Anche andando a esaminare i diversi settori produttivi e le singole realtà geografiche, non emergono punti di particolare sofferenza, tuttavia non si può dimenticare che negli scorsi anni c’è stato il ridimensionamento pesantissimo del tessile e che molti interrogativi gravano attualmente sul futuro del distretto della sedia, dove il panorama occupazionale sta cambiando nettamente e dove perdura la fame di manodopera specializzata. Ed emerge con pari risalto l’altra tematica di cui dicevamo all’inizio, che andrà affrontata con urgenza se si vorranno evitare altre storie come quella della cartiera di Tolmezzo.

www.messaggeroveneto.it


< Torna alla pagina di marzo