Il Friuli e la Grande Guerra. Riappare l’opera di Giuseppe Del Bianco, uscita tra il 1937 e il 1958
(Mario Blasoni)

Oggi sarà presentata alla Crup da Fulvio Salimbeni. Intervista a Umberto, figlio dell’autore e titolare della casa editrice

La casa editrice Del Bianco ha superato i cent'anni di attività (è nata nel 1883 come tipografia, legata al popolare giornale La Patria del Friuli) ed è tuttora una presenza importante, oltre che una testimonianza storica, nel mondo culturale della regione. Lo conferma la riedizione dell'opera più significativa di Giuseppe Del Bianco, figlio del fondatore Domenico: La guerra e il Friuli, quattro volumi sul conflitto 1915-18 – da decenni ormai introvabili – che costituiscono una pietra miliare nella storiografia della nostra terra. I libri, raccolti in un pratico cofanetto, saranno presentati oggi alle 17.30, dallo storico Fulvio Salimbeni, docente all'Università di Udine. L'incontro si terrà in via Manin 15 nella sala della Fondazione Crup, l'istituzione che (assieme alla Provincia di Udine) ha reso possibile il recupero di queste preziose memorie. Ma c'è anche un'altra novità: dal primo gennaio scorso la casa editrice ha lasciato la città trasferendo magazzini e uffici a Colloredo di Monte Albano, ai piedi del castello di Ippolito Nievo.
Dei libri sulla Grande Guerra, della nuova sede, ma soprattutto del significato della presenza dei Del Bianco nella storia e nella cultura friulane, parliamo con il dottor Umberto, secondogenito di Giuseppe e unico titolare (fino al 1972 ne condivideva la responsabilità col fratello Nino, giornalista e scrittore) dell'azienda ereditata dal padre nel 1954.
– Dottor Del Bianco, come definirebbe La guerra e il Friuli?
«Un'opera complessa che ha impegnato interamente gli anni della maturità e le migliori energie del suo autore. Mio padre non era uno storico di professione e tanto meno uno specialista di storia militare. Come ha scritto Giovanni Comelli in una bella biografia di Giuseppe Del Bianco, egli
«Un'opera complessa che ha impegnato interamente gli anni della maturità e le migliori energie del suo autore. Mio padre non era uno storico di professione e tanto meno uno specialista di storia militare. Come ha scritto Giovanni Comelli in una bella biografia di Giuseppe Del Bianco, egli "mette in evidenza i risvolti umani e le conseguenze che gli eventi bellici ebbero nella popolazione. La sua originalità sta appunto in questo sapiente intreccio tra notizie politico-militari e cronache locali". Ancora oggi La guerra e il Friuli è fondamentale e imprescindibile per chi voglia studiare quel periodo storico».
– La sua stesura è stata travagliata...
«Eh sì, purtroppo: sia a causa del fascismo, sia della guerra successiva. Il primo volume è uscito nel 1937, il secondo nel 1939 (e fu subito sequestrato per alcune critiche alla Germania...), il terzo nel 1952 e l'ultimo, postumo, nel 1958».
– E come si sviluppa la narrazione?
«Nel primo volume ci sono gli antefatti: il trattato di pace del 1866, il Friuli spaccato in due con la parte orientale ancora sotto l'Austria, l'irredentismo; nel secondo le battaglie dell'Isonzo e la guerra in Carnia; negli ultimi due Caporetto e la ritirata fino al al Piave».
– Non c'è Vittorio Veneto...
«No, ma quello fu l'epilogo. A mio padre interessava raccontare la guerra quotidianamente vissuta e sofferta dalla gente. Era andato a consultare, paese per paese, i libri parrocchiali. Ero bambino e mi ricordo che qualche volta mi portava, in bicicletta, con lui».
– Come si è arrivati alla riedizione?
«Erano anni che mi proponevo di farlo. Ci sono riuscito ora, grazie alla Fondazione Crup. Ho trovato un sostenitore entusiasta nell'attuale presidente, il dottor Antonini Canterin. "Li ho tutti – mi ha confidato – e spesso ne rileggo alcune pagine". D'altro canto sono libri ormai rari, i primi due d'antiquariato».
– È stata una ristampa integrale?
«Sì, nel senso che non ho toccato una virgola, ma allo stesso tempo innovativa. Ho fatto ricomporre i testi perché la stampa anastatica avrebbe riproposto caratteri ormai poco leggibili. Poi ho raggruppato le note, capitolo per capitolo, per valorizzarle con titoli e rendere più agevole la lettura. Ho aggiunto altre foto storiche e, soprattutto, gli indici dei nomi, luoghi e reparti militari che non c'erano».
– Un bel lavoro...
«Già, sono 1800 pagine. Mi ha impegnato per un anno».
– Tornando alla casa editrice, ora cosa bolle in pentola?
«Stiamo pubblicando L'atlante storico, cinque maxivolumi di Guerrino Girolamo Corbanese. Verso Natale uscirà il quinto, dedicato – guardi la coincidenza – alla Grande Guerra. Avrà circa 140 carte storiche (nei libri di mio padre non ce ne sono) che consentiranno agli interessati di integrare e completare il discorso sul piano militare».
– E dopo?
«Vedremo. Non credo che andrò avanti ancora per molti anni. Sa, ne ho 81...Ed è un mestiere difficile. Non ho neppure figli che possano subentrare. Comunque le proposte non mancano. Guardi quel pacco di fogli: è un vocabolario sul dialetto di Grado, verranno 900 pagine».
– Com'è orientata la vostra produzione più recente?
«Una parte riguarda il Friuli, secondo una tradizione consolidata, tra l'altro, con l'opera di mio padre e successivamente con gli otto grandi volumi di Tito Miotti sulla storia dei castelli. Abbiamo una collana storica su Trieste, sezioni riguardanti arte, archeologia, religioni. E poi libri scolastici specializzati, di nicchia...».
– Per esempio?
«L'inglese nautico. Non c'è solo l'inglese di Byron o dei computer... Ho trovato l'autore a Fiume, dove c'è una università nautica. E adesso è adottato in tutta Italia».
– Intanto da Udine vi siete trasferiti a Colloredo. Come mai?
«Abbiamo lasciato i locali di via San Daniele in seguito a risoluzione del contratto. Qui, in località Pradis, sullo stradone panoramico, è sorto un bel complesso, che avrà un futuro. D'altro canto ormai lavoriamo solo per telefono, fax o e-mail: dal 1972 stampiamo tutto fuori».
– Per concludere, un pensiero dedicato a suo padre. Di lui cosa ha apprezzato di più?
«L'umanità, la capacità di conoscere a fondo la gente e il rispetto per i fruitori del nostro lavoro».
– E di suo nonno, il popolare giornalista Meni Muse, che ricordo ha?
«Di una grande personalità. Anche se noi bambini lo vedevamo un po' distante. In casa era piuttosto riservato, ma fuori con gli amici era esuberante e allegro».

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