CARNIA. E’ scoppiata la guerra dell’acqua.
(Oscar Puntel. puntel@lycos.com )

L’acqua è il patrimonio dell’umanità. Per alcuni, è già il petrolio del terzo millennio. Non a torto, visto che anche in Carnia, territorio ritenuto ricco di piogge e di fiumi, l’emergenza idrica c’è. Gli alvei fluviali hanno sete. Il campanello d’allarme è suonato la scorsa estate, con una clamorosa manifestazione, a Caprizi, località nei pressi di Socchieve: il Tagliamento era in collasso. Scenario marziano, in un fiume di pietre, ovunque. L’acqua si era trasformata in deserto, i pesci in sassi. Impossibile pescare. Alto il rischio depauperamento ambientale, vale a dire moria di microfauna e microflora, tutti organismi che non si vedono, ma trovano vita nell’acqua. Forte il rischio di creare una lunga, interminabile, fastidiosa fogna a cielo aperto. L’allarme lanciato da Caprizi è stato recepito in Regione, che ha varato la legge 28 del 27 novembre 2001. Alcuni mesi dopo, a Paluzza, si è tenuto un convegno, sabato 23 febbraio, presso sala San Giacomo, con un titolo, che è una speranza: "Il deflusso minimo vitale nelle derivazioni d’acqua: dalla legislazione statale e regionale alla pratica attuazione negli alvei fluviali".
Tutto è iniziato con un’equazione: acqua uguale chilowhattore. La Carnia con i suoi corsi d’acqua abbondanti aveva, in passato, mutato la vocazione ad un uso differenziato ed intelligente dell’elemento. Poi è arrivato lo sfruttamento intensivo ed esaustivo. Via i corsi d’acqua superficiali. Dentro, sotto terra, chilometri di tubi, pronti a convogliare l’acqua in centraline, e a trasformarla in energia. Una mentalità che si è concretata già 50 anni fa. "La manifestazione di Caprizi ha dato il via ad una nuova cultura dell’acqua, ha riproposto il problema. Il dovere di tutelare il proprio territorio, utilizzando le legislazione vigente che stabilisce un flusso minimo vitale. Noi abbiamo sempre detto no ad una monocoltura e monocultura dell’acqua. Bisogna ritormare come in passato, ad un suo uso differenziato" ricorda Franceschino Barazzutti, presidente del comitato per la tutela delle acque del bacino montano del Tagliamento. Da prendere spunto, allora, ciò che si fa in Austria. Qui l’energia non si ottiene solo dall’acqua, ma, fa sapere Wilfred Klaus, esperto del settore, "si ricava anche dal sole, con i pannelli fotovoltaici, dalle biomasse, dai gas organici, e sfruttando la forza del vento". Cioè bisogna trovare fonti di energie alternative, oltre all’acqua.
La legge salva – fiumi è una misura di salvaguardia, una sorta di decreto, approvato dall’autorità di bacino di cui fa parte anche la regione e che fra qualche giorno entrerà in vigore. Essa prevede un deflusso minimo vitale dei percorsi d’acqua, grazie a una quantità minima di rilascio o rispetto. Ogni ente che preleva acqua dal fiume deve, in pratica, rilasciarne a valle una certa quantità, cioè una portata di rispetto, per garantire un minimo deflusso ambientale. Se per caso la portata che arriva dalla montagna è più bassa del valore stabilito, l’ente non può prendere nulla. Ma di quant’è questa "portata di rispetto"? "Dipende dai punti del fiume – spiega Antonio Rusconi, segretario generale dell’autorità di bacino -. In alta montagna, dove il bacino idrografico è minore, questo valore è basso. Più si scende, più la quantità da rilasciare è maggiore. C’è però un valore di base: 4 o 6 litri al secondo per chilometro quadrato, quantità che va moltiplicata per i chilometri quadrati del bacino che c’è dietro al tratto fluviale. Poi ci sono valori minimi fissati per zone di interesse paesaggistico e le sorgenti". Ma il convegno, che era rivolto principalmente alle problematiche del Tagliamento, ha riacceso le scintille fra la Secab e Cecivento. A lanciare le accuse, Della Pietra, un agricoltore direttamente interessato dal passaggio dei tubi porta-acqua alla costuenda centralina di Nojaris, che denuncia: "La Secab ha ridotto a secco alcuni tratti del fiume Bût, affluente del Tagliamento. In più c’è un investimento di 12 miliardi, 8 dei quali Ue, per costruire la centralina nuova di Nojaris, che produrrà al massimo 100 Kw. Con quei soldi si può ottenere la stessa energia, utilizzando dei pannelli fotovoltaici". La risposta non ha tardato ad arrivare da Ferdinando Di Centa, direttore generale, che precisa: "La Secab sta finanziando il progetto, per il momento, con soli fondi propri, di sua disponibilità, e in parte con mutuo bancario. I fondi Ue non si sa se arriveranno. I benefici della nuova centrale sono di tipo economici e aziendali. La società di Paluzza produrrebbe in totale 36 milioni di Kw. Di questi, la nuova centralina apporterebbe 9 milioni di Kw, non solo 100 Kw. A conteggi fatti, considerando il deflusso minimo, la produzione totale calerebbe di 2,5 milioni di Kw. In più la Secab preleva e riversa sulla stessa asta fluviale, seppur a una certa distanza". Ma dalla sala, qualcuno chiede a Di Centa: "Che mi dice della morte del Bût da Cleulis a Enfretors e da Museis al Ponte di Nojaris? Lì non c’è acqua. E’ tutto prelevato". Questa la replica del direttore generale: "I vantaggi sono in termini ambientali mondiali, la produzione di 36 milioni di Kw è equivalente a 8280 tonnellate di petrolio. Così si evita di immettere in atmosfera 20880 tonnellate di anidride carbonica, che per essere assorbita avrebbe bisogno di un bosco di 28 chilometri quadri. E poi ci sono tutti i vantaggi sulla salute umana". Della Pietra è sbottato: "Qui siamo in Carnia, non a Marghera".
La stoccata finale alla Secab la dà Barazzutti: "Cosa fa in alveo la Secab? Produce desertificazione come l’Enel? Allora ha la coda di paglia e daremo battaglia anche a lei. E’ una questione di civiltà, di rispetto delle leggi. C’è la necessità di una nuova cultura dell’acqua, qui stiamo parlando di una fondamentale risorsa per la vita".


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