Il Marinelli celebra i cento anni di vita
(Luciano Santin)

Questa mattina l’inaugurazione e la presentazione di un libro dedicato all’avvenimento

Solenne, severo, grandioso, il gruppo Coglians-Cianevate corona le Carniche e tocca la massima altezza alpina nel Friuli-Venezia Giulia. «Un picco roccioso tanto grande da poter stare a pari dei più imponenti massicci delle Giulie», ne scrisse Julius Kugy. «Se sorgesse nei pressi di un centro turistico, sarebbe conosciuto e scalato come le più celebri vette di Sesto e di Cortina». Logico, pertanto, che sotto i suoi grandi spalti sorga il rifugio più alto della regione, quel Giovanni e Olinto Marinelli, costruito un secolo fa ai 2.120 metri di forcella Morarêt, tra le valli del Degano e del But. Nell'occasione del centenario, la Società Alpina Friulana ha proceduto a significativi interventi di miglioria e di ampliamento, che consentono al manufatto di inserirsi anche più armoniosamente nel contesto, in coerenza con quella che è la moduli architettonici della montagna friulana. L'inaugurazione avverrà questa mattina, alle 11. Sarà anche presentato il volume I cento anni del Rifugio Marinelli, stampato dalle Grafiche Fulvio di Udine, una silloge di scritti dalle cui pagine è tratto gran parte del materiale che segue. Quando si comincia a pensare a un ricovero per gli alpinisti che salgono al Volaia, al Coglians, alle Cianevate, è il 1897. A quel tempo, l'arrivare in zona è già quasi un'impresa. Le strade carrozzabili, di fatto si fermano a Timau e Paluzza. La prima scavalca Monte Croce Carnico, seguendo in parte il sedime dell'antica via romana per il Norico, la seconda si arrampica per la val Degano sino a Sappada, sul tracciato stretto e disagevole (tre metri di ampiezza, pendenze al 26%) scelto nel 1772 da Alvise Mocenigo, luogotenente della Patria del Friuli. La proposta del cavalier Ronchi, che propugna la realizzazione di un rifugio, viene sostenuta dall'allora presidente della Saf Giovanni Marinelli. La gita-ricognizione compiuta dall'ingegner Giovanni Bearzi, dà l'idea dei problemi legati all'avvicinamento. Prima tappa è Timau, ultimo luogo dove si può pernottare, l'indomani sveglia alle 4, per arrivare alle 12 a forcella Morarêt. Anche tenendo conto di una breve digressione alla base delle Cianevate, sono otto ore. A Udine si discute a lungo sulla collocazione del rifugio. All'inizio si confrontano due siti: uno sotto lo sperone dello Stella, a sud del Coglians, e un altro sul versante opposto, all'Acqua Nera, all'imbocco delle Cianevate. Alla fine si decide invece per alzare la quota, scegliendo appunto la forcella. A realizzare l'opera provvede l'impresario Amedeo Zannier, con la collaborazione di Michele Tolazzi, di Collina (che diverrà il primo gestore). Marinelli non fa in tempo a veder compiuta l'opera: la sua morte, avvenuta nel 1900, spegne ogni possibile dibattito sul nome del rifugio. L'inaugurazione avviene in coincidenza con il ventennale della Saf, presenti autorità civili, religiose, militari, con una folta delegazione di società consorelle. Dalla vicina Austria sono venuti rappresentanti dell'Öav, della Sat e della Società Alpina delle Giulie. La guida della Carnia edita a Tolmezzo nel 1906 così descrive il Marinelli: «Un manufatto in muratura lungo m. 9 e mezzo, largo m. 5 e mezzo, alto circa m. 6. E' diviso in due piani: il primo piano comprende un atrio di ingresso con scala per il piano superiore, la cucina che serve anche da stanza da pranzo, ed un'altra piccola stanza dove possono avere alloggio separato le signore; il piano superiore ha due soli ambienti, un piccolo atrio e un dormitorio che può servire per 12 alpinisti; superiormente, in una soffitta riposano le guide». Il rifugio è aperto da luglio a metà settembre, con tassa di soggiorno di mezza lira, per i non soci, e con pernottamento a due lire. Il punto di appoggio crea una nuova attenzione per le Alpi carniche, abbastanza oscurate sino ad allora dalle Giulie, servite addirittura dalla ferrovia. Nel giro di pochi anni, però, è la guerra, e il Volaia, come la cresta Cellon-Cianevate, sono fronte avanzato. Alla prima cima si lega la tragica vicenda del “Fusilâz di Ciurcivint”, alla seconda la coraggiosa impresa dell'alfiere Enzerhofer, salito in vetta con un piccolo presidio dall'Eiskar, e lì rimasto sino all'inverno. Malgrado lo scarso interesse strategico, il Marinelli viene battuto dal tiro di obici e mortai che sparano dalle retrostanti vallate, riportando danni ingenti, stimati in 9.000 lire dell'epoca. Gli anni del primo dopoguerra sono difficili, anche perché inizia l'epoca dell'alpinismo sportivo, e la zona appare troppo "addomesticata" dalla rete di sentieri militari, mentre la Pichl Hütte e il Porro Lambertenghi, al Volaia, tolgono altro ossigeno. Dal '25 si ricomincia a parlare del rifugio, in un'ottica escursionistica. Nel '27 lo scomparso Olinto Marinelli, succeduto al padre al vertice della Saf, gli viene accomunato anche nell'intitolazione. Il 2 settembre del '28 si inaugura il rifugio rimesso a posto con 30 mila lire messe dalla Saf, e il resto dal Cai centrale (l'implicita contropartita al forzato assorbimento della società friulana in quella nazionale, in ottemperanza a un decreto del fascismo). Nove anni dopo viene realizzato il sentiero attrezzato di collegamento con il Volaia, che ricorda Riccardo Spinotti. La seconda guerra mondiale non porta gravi danni al rifugio che nel '51 è, dopo il De Gasperi, il più importante della Saf (25 cuccette, 7 letti, una camera per signore). Nel '59 l'esplosione di una bombola di gas lo costringe però a chiudere per una stagione. Negli anni '70, invece, il Marinelli è protagonista negli sport invernali, con una gara di slalom sino a Collina. A intervalli di decenni si succedono lavori di straordinaria manutenzione, e nello scorso decennio, grazie anche ai percorsi di traversata, il rifugio è frequentato, nei fine settimana estivi, anche da 300-400 persone. Con il centenario, è arrivata ora una ristrutturazione e riqualificazione, con una nuova copertura a capanna, con spioventi a forte pendenza, che hanno permesso di recuperare spazi (in pratica un piano), nel volume del tetto, lasciando pressoché inalterato il perimetro murario.

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