Cercivento non vuole la zona industriale
(Anna Rosso)

Lepre e Marra: «Inutile cementificare aree coltivabili e di pregio naturalistico quando ce n’è già una artigianale»
Legambiente e Italia nostra con i proprietari dei terreni da espropriare per il nuovo insediamento


No a una nuova zona industriale nel piccolo paese di Cercivento, che conta poco più di 700 abitanti. Lo dicono i proprietari dei terreni agricoli che, secondo il progetto approvato dal consiglio comunale il 27 dicembre 2000, sono destinati all’espropriazione. E lo dicono anche i rappresentanti delle associazioni ambientaliste: Marco Lepre di Legambiente e Marco Marra di Italia nostra. «È un’iniziativa inopportuna, uno spreco di denaro e di territorio, che non tiene conto degli interessi della comunità – sentenzia Lepre –. Preoccupa inoltre che gli interessati non siano stati informati e coinvolti per tempo: per questo motivo la Regione dovrebbe invitare l’amministrazione comunale a riflettere, non solo a ridurre i lotti edificabili da 8 a 4». I motivi a supporto di queste posizioni sono diversi e vengono elencati in un documento intitolato “Succede in terre di Carnia” sottoscritto da uno dei proprietari, Vincenzo Morassi, e inviato alle associazioni ambientaliste. In una nota si legge: «Il nuovo piano insediamenti produttivi (Pip) farà scomparire Las braides dal flum, un giardino naturale con fiori e alberi da frutto centenari. Perché cementificare altre zone (peraltro coltivabili) quando c’è già una zona artigianale dotata di strade, luce e gas da completare? Prima di rovinare aree verdi si potrebbero recuperare gli enormi fabbricati delle caserme in disuso: la Maria Plozner Mentil di Paluzza e quella di tre mila metri quadrati sul ponte di Sutrio, attualmente in vendita. Senza dimenticare che a poca distanza, nei comuni di Sutrio e Paluzza ci sono ancora lotti Pip disponibili». «È chiaro – fa notare ancora Lepre – che il discorso andrebbe affrontato almeno a livello intercomunale, valutando anche parametri di sostenibilità ambientale. Per esempio – spiega – il sito in questione è più basso rispetto al torrente But, con conseguente pericolo di esondazioni. Non basta: il terreno è sovrastato da ben tre linee elettriche, che limitano le costruzioni in altezza e producono elettrosmog». Ma i risvolti sono anche altri: «Così si penalizzano le attività agricole – afferma infatti Marra –, attività che invece dovrebbero essere valorizzate in un luogo che si presta all’agricoltura biologica e all’allevamento degli animali allo stato naturale. Inoltre – aggiunge – andrebbero potenziate le attività turistiche, oggi pressoché assenti, passando così dal concetto di sfruttamento del territorio a quello di utilizzo ecocompatibile. Al contrario – conclude il portavoce di Italia nostra – si continuano a vedere capannoni giganteschi che si inseriscono malissimo nel paesaggio montano, quando sarebbero sufficienti pochi accorgimenti (rivestimenti in pietra, travi lamellari) per rendere più gradevole il loro impatto visivo».

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