E' scoppiata la "malgamania" in Alto Friuli.
(Oscar Puntel)

E' scoppiata la "malgamania" in Alto Friuli. Mestieri che oramai si credevano persi nel tempo e che nessuno sembrava voler più eseguire, ora tornano di moda e sembrano interessare soprattutto figure imprenditoriali fuori Regione. L'interrogativo inquietante è uno solo: che faranno mai di un alpeggio? Località turistica, villaggio vacanze, agriturismo o albergo d'alta quota a 4 stelle? Naturalmente si tratta di esempi estremi, ma la paura di arrivare al depauperamento dell'economia agricola locale per accontentare i capricci di qualche imprenditore ha fatto gridare allo scandalo più di qualche agricoltore, che si è scagliato anche contro i comuni, rei di aver concesso le malghe a soggetti esterni, non del luogo. E poiché questi pagano, e lo fanno profumatamente, i malgari gridano a favoritismi, cioè al fatto che si tenda a concedere l'uso della malga a chi non è del luogo, solo perché questo elargisce di più.
Pronta è stata pure la replica degli enti locali, altrettanto quella della Coldiretti. La partita si gioca tutta fra gli interessi del proprietario (cioè il comune, che comunque ne è il gestore, se di usi civici trattasi) e quelli dell'affittuario (cioè dell'imprenditore - malgaro che si serve dell'immobile e del terreno per cinque anni). "Il comune ci mette dei soldi, fa investimenti, di certo deve avere anche un ritorno economico, cioè deve fare i propri interessi" spiega Michele Mizzaro, rappresentante di zona della Coldiretti. Per converso l'affittuario, in questa diade è il soggetto più debole, e che deve essere tutelato. Ma ci sono anche altri fattori, spesso tenuti "fuori gioco", e che dovrebbero essere a maggior ragione presi in considerazione, anche in questo tipo di dinamiche economiche: l'alpeggio è un patrimonio ambientale, culturale e storico, che va rispettato da tutti, è un vero e proprio ecosistema ed ha le sue regole. L'insieme di tecniche e tradizioni che si praticano nelle malghe della montagna friulana sono talmente specifiche che perderle equivarrebbe alla propria rovina.
Tra Carnia e Val Canale sono 67, quelle registrati all'ASL; 45 sono in regola con le disposizioni igieniche, altre invece sono utilizzate solo per il pascolo. Di tutte queste, alcune sono state date "in affitto" anche a imprenditori non del luogo, in certi casi sono state monticate, in altri no. "Per questo è importante un controllo sull'attività svolta negli alpeggi da questi soggetti, anche perché di mezzo ci sono pure contributi UE che favoriscono la monticazione" spiega Mizzaro. Se a queste condizioni, una malga viene trasformata in hotel, c'è l'estremo della truffa.
Secondo l'esponente delle Coldiretti è possibile aprire a chi non è del luogo, a patto però che continui sulla strada della tutela e soprattutto che produca come il malgaro del luogo. "Ogni malga ha il suo habitat e produce prodotti di nicchia, tipici del territorio. Il malgaro può essere anche di Treviso, ma non deve portare un modello agricolo o pastorale esterno alla nostra tipicità, deve adattarsi e produrre come noi".
L'elemento determinante resta la sua professionalità. "Si può benissimo aprire le nostre malghe anche a coloro che non sono carnici, basta che sappiano fare bene il loro lavoro e abbiano dei requisiti di professionalità e imprenditorialità per le produzione lattiero - cesearie. E tutto questo può avvenire. Basterebbe che l'ente concessionario l'affitto lo specificasse nel bando di concorso" conclude Mizzaro.

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