La Goccia di Carnia torna in mani friulane. Una cordata con Ieronutti, Petris, Savoia, Cescutti e Rizza. Definito il piano industriale

Per tante aziende fuoriuscite, una è ritornata. È la Goccia di Carnia, nata nel ’79 dalla costola dei fratelli Ieronutti (il cavalier Primo, imprenditore edile rientrato dal Venezuela con il gruzzolo da investire e il ragionier Claudio ispettore della Norda) e dalle sorgenti di Fleons, a 1870 metri d’altitudine in comune di Forni Avoltri. L’azienda è tornata in mani friulane dopo varie peripezie. A riacquistarla sono stati Adriano Savoia, Petris del prosciuttificio Wolf di Sauris, il commendator Cescutti di Villa Santina (produttore di tubazioni snodabili in acciaio), il commercialista Paolo Rizza di Tolmezzo e, appunto, Claudio Ieronutti superstite dei cinque fratelli che avevano rilevato l’azienda, allora allo sfascio, dal commendator Tettamanti di Como.
I cinque investitori di casa nostra si sono divisi la metà del pacchetto azionario, in percentuali varianti dall’8 al 12%; mentre il restante cinquanta è stato rilevato dall’avvocato Santambrogio di Milano, già fondatore della Boario, una vita dedicata all’acqua minerale attraverso 26 aziende comprate e vendute in qualche decennio. Anche per quest’ultimo, come per Ieronutti, si è trattato di un ritorno. Al professionista milanese, infatti, l’imprenditore friulano aveva ceduto l’azienda risanata di tutto punto nell’89. La Goccia di Carnia finì allora nell’anonimato del gruppo Terme di Sant’Andrea (5 stabilimenti e sette acque) che fu a sua volta venduto tre anni più tardi alla Geroldsteiner di Colonia. Non conoscendo il mercato italiano i tedeschi fecero un buco... nell’acqua, rimettendoci 40 miliardi.
A subentrare fu la Popolare di Lodi, che rientrò dei suoi crediti rivendendo pezzo per pezzo il piccolo impero, salvo tenersi la Goccia di Carnia, che aveva tenuto fede nella cattiva sorte alla sua reputazione di macchina sforna-utili. Un anno fa, infine, la decisione di stornare l’azienda dal portafogli della banca.
Gli aqcuirenti, Santambrogio e la pattuglia friulana, hanno completato in questi giorni il progetto industriale sostenuto da una corposa campagna pubblicitaria, dal raddoppio – un mese fa – della linea di produzione, dalla determinazione di acquisire allo stabilimento un’ulteriore area coperta di 10 mila metri quadri; dal restyling delle etichette e dall’adozione di contenitori di nuovo formato. In progressione geometrica produzione e fatturato. L’anno scorso ha imbottigliato 70 milioni di litri con un fatturato di venti miliardi. Nello stabilimento di Pierabech lavorano 35 dipendenti più dieci ispettori alle vendite in un mercato concentrato tra Milano e il Nord-Est.
In passato balzò agli onori della cronaca per la pubblicità bilingue — in italiano e in friulano – caratterizzata dal motto "quattro gocce di salute" - "quatri gotis di salut", amplificato dall'ugola d’oro di Dario Zampa. «Il ministero della sanità - ricorda divertito Ieronutti – rifiutò l’autorizzazione all’uso di un motto pronunciato «in lingua ad esso sconosciuta». Ieronutti – la goccia scava la pietra, appunto – tanto insistette da convincere il burosauro romano a sorvolare con l’aiuto dell'allora deputato Baracetti, previa traduzione giurata in italiano dalla "lingua sconosciuta". Da allora a oggi la storia è breve: su quelle quatri gotis di salut è fiorito un business miliardario in una delle più remote località della montagna carnica – Pierabec – ed è sbocciata una delle più belle canzoni di Dario Zampa.

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