Carnia. La sfida del biologico
(Oscar Puntel)

Chi ha scoperto che in Carnia si pratica un’agricoltura naturale, che rasenta il fatto di essere biologica, ha scoperto l'acqua calda. Il biologico in Carnia è sempre esistito. La sua agricoltura pastorale, le tecniche tradizionali di lavorazione e trasformazione del prodotto, la difesa dell'ambiente per uno sviluppo armonioso del territorio si sono praticati da sempre e si respirano pure nella genuinità di ciò che i suoi contadini riescono a creare. Ma guai a dire che si tratta di agricoltura biologica, anche se avrebbe tutti i crismi per esserlo.
Ma dove termina il confine con altri prodotti ottenuti con metodi tradizionali, tipici del territorio, ma non certificati come biologici perchè non rispettano tutti quei parametri elencati su una carta dall'Ue?
Indubbiamente il problema sussiste. Se ne rende conto anche l'unica imprenditrice agricola della Carnia, che immette sul mercato e vende direttamente al pubblico prodotti finiti veramente biologici, con tanto di certificazione di autenticità: Eliana Solari di Pesaris di Prato Carnico opera da diversi anni nel campo della agricoltura biologica. «In tanti eravamo partiti – afferma - in pochi siamo rimasti».
«Noi in Carnia - spiega- abbiamo sempre lavorato biologicamente, il problema è che questa mia, definizione non corrisponde a ciò che viene richiesto dalle norme europee, che vogliono invece tanta burocrazia. E’ chiaro che uno poi si scoraggia».
Eliana Solari produce una varietà di prodotti biologici in piccole quantità, ha due ettari di piantagioni. Secondo lei lavorare per monocolture con queste regole da seguire è praticamente impossibile, non avrebbe un ritorno economico. Lei trasforma i prodotti in modo assolutamente biologico. Per esempio, per fare la marmellata deve usare zucchero di canna, certificato anch’esso. Con la sua azienda riesce a soddisfare le richieste di un sempre più pressante mercato. Talvolta la domanda supera pure l'offerta.
Sul fronte caseario, le cose non vanno certo meglio. La mole burocratica attanaglia anche il piccolo allevatore di montagna. Nessuno è risparmiato. «Con il consorzio siamo riusciti a fare un passo avanti, ed abbiamo ottenuto un marchio Doc, con il nome Carnia, per il formaggio Montasio, per quello salato e per la ricotta - spiega Giuseppe Blasone, presidente del caseificio Valdegano. -.Questo in virtù delle antiche tecniche utilizzate per la forgiatura di questi prodotti. È un passo in più che va oltre il biologico, perchè tiene conto di un territorio, e di come viene lavorato. Difende la qualità della produzione».

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