A lezione di umanità.
(Oscar Puntel)

Viaggio nella casa di riposo di Paluzza.

Ci sono anziani e anziani. Anziani che stanno in casa, soli e abbandonati. Anziani che si fanno compagnia gli uni gli altri, come nei tempi passati quando, per divertirsi, l’unico passatempo concesso, e nemmeno per tutti, era l’osteria. Non è mai stata facile la vita in montagna. Tutt’al più in passato. Vite segnate dal lavoro, mani corrose dalla calce, scalfite dal legno, rigate dai lacci delle corde con cui si legava il fieno. Valigia di cartone sempre pronta, per l’estero. L’America di settanta anni fa si chiamava Svizzera. Tempi lontani. Non c’erano soldi e non c’erano divertimenti. Le cento lire contribuivano alle magre entrate del bilancio familiare..
Gli ospiti di una casa di riposo, quella di Paluzza, in questo senso, hanno molto da raccontare. Provengono pressoché da tutta la Carnia. Sono lo specchio di una società astrusa che non vuole anziani per casa, che non può badare a loro, sopraffatta dalla quotidianità di ritmi insensati. Con le loro testimonianze incantano chi li sta ad ascoltare. Traspare la voglia di comunicare, di esternare ricordi e sentimenti, di dialogare con qualcuno di nuovo.
Varco quella cancellata una domenica pomeriggio. Il suono di un cicalino fende l’atmosfera di una giornata uggiosa. Ha appena piovuto. Una suora mi accompagna in una sala con tanti tavoli. Qualche anziano sonnecchia la pennichella pomeridiana. Una donna seduta poco più in là guarda fisso per terra, volto segnato dalla malinconia e dalla solitudine.
La prima a farsi avanti è Giuseppina De Conti, di Cercivento. Ha 78 anni. “Quando ero giovane ho lavorato tanto in casa. Filavo la lana. Ne ho filata tanta, chili di lana. In paese c’era molta povertà, si raccoglievano funghi, piante ed erbe officinali per guadagnare qualche soldo. Ci facevano raccogliere anche degli arbusti lungo il fiume, duri come spago. Ogni giorno bisognava accumulare almeno 15 chili. Poi è venuta la guerra, venivano i tedeschi e si doveva scappare in montagna”.
I tempi erano molto duri, soprattutto in tempo di guerra, perché “c’era poco da mangiare, meno da bere” afferma scherzando. “In famiglia avevamo una mucca e della pecore. Portavamo il latte alla latteria del paese. Mia sorella si occupava del falcio dell’erba, l’aiutavamo tutti. D’estate si stava al pascolo tutto il giorno. Ogni tanto perdevamo anche le pecore e poi bisognava cercarle”.
Poco più in là è seduta Pierina Morocutti, di Ligosullo. Classe 1914. Interviene anche lei per raccontare la sua esperienza: “ Mia madre è morta giovane, a 38 anni. Io avevo 15 anni e mi sono occupata di allevare i miei fratelli, 5 in tutto. Ho dovuto far io da madre. Ho avuto anche grande responsabilità. Ho fatto solo la terza elementare, ma ho imparato più dopo che prima. Mi toccava scrivere le lettere a mio padre, perché lui andava fuori a lavorare. Faceva l’arrotino. Girava i paesi della Carnia e del Veneto. Lo faceva per guadagnare, per mantenerci, non avevamo nulla”.
Lavoro e miseria, nessun divertimento. Non c’era tempo. “Mi sono occupata soprattutto della mia casa. – racconta - Sono stata a servire anche in altre case del paese. Si faceva di tutto, dalle pulizie alle legna nel bosco. Tutto per prendere “palanche” per mandare avanti la casa. Poi aiutavo mia sorella, che aveva prati e bestiame, a Tausia”. E’ tanto cambiata la gente di adesso rispetto ad allora? “La gente una volta stava di più insieme; era più buona, ci si aiutava gli uni gli altri, se c’erano dei problemi. Oggi c’è solo superbia.”
Su questo punto concorda anche Luigina Morassi di Cedarchis, che aggiunge: “La vita una volta era più leale, familiare. La gente si aiutava e si ci si voleva più bene”. Cosa faceva quando era giovane? “Lavorare. Sempre e solo. Sono stata inserviente all’asilo, quando avevo 16 anni, poi mi sono sposata e sono andata in Svizzera. Nel 1959 ho iniziato a lavorare, a Lugano, in casa dello scrittore Francesco Chiesa. Lì mi sono preoccupata del mio avvenire. Ero sana come un pesce. Laboriosa, mai a casa, sempre a lavorare. Qualche volta andavo a ballare. Ma quando suonava l’Ave Maria bisognava andare a letto. Sono ritornata a Cerdarchis a fine anni ’60 e mi sono occupata di mia madre e della casa”.
L’emigrazione l’ha conosciuta anche Remo Migotti, di Tualis di Comeglians. Ha 77 anni. “Ho iniziato a lavorare a 16 anni sotto impresa, come carpentire. Poi mi davano pochi soldi. Mio padre era in Francia, mandava 100 lire al mese. Non era sufficiente per mandare avanti la baracca” Anche lui ha fatto la sua bella valigia di cartone; destinazione: Svizzera. “Lì mi hanno fatto il contratto e sono stato 22 anni, sempre con quella ditta. Non ho mai cambiato impresa – spiega con tono concitato -. Nella mia vita non c’è mai stato spazio per i divertimenti, ho solo lavorato. Andavo a vedere il circo una volta all’anno in Svizzera. L’unico divertimento che mi sono permesso nella mia vita. Toccava mettere via i soldi altrimenti non mi sarei mai fatto la casa. Fortunatamente non ho fatto la guerra, ma sono stato militare sotto il fascio, a vent’anni, come telegrafista, all’undicesimo Genio “Pio Spaccamela”, a Udine”. Remo Migotti ha una memoria ferrea, si ricorda ancora il cambio: “Erano 150 lire per franco svizzero”. L’emigrazione per lui è stata una necessità: “La vita in montagna era molto dura, c’era tanta miseria, non c’erano soldi. Il caro vita era altissimo rispetto a quello che si prendeva in paga oraria. Se lavoravi ai pascoli o ai prati, ti pagavano dandoti solo da mangiare. Non era sufficiente per la nostra famiglia. Non potevo farlo”. Il giorno più sentito nei paesi montani era la domenica “perché si andava a Messa, vestiti a festa, e poi c’erano i vespri. Nel pomeriggio ci si trovava con gli amici, per un po’ di svago”.
Se potesse, tornerebbe indietro? “Tornerei in Svizzera.” afferma convinto. “Solo se fosse vivo quel padrone, tornerei da lui, e sono sicuro che mi riprenderebbe. Quando passava in cantiere chiedeva: “Chi ha lavorato qui?” Gli dicevano: “Remo”. E lui rispondeva: “Allora non serve controllare. E’ sicuramente tutto a posto”.


www.lavitacattolica.it


< Torna alla pagina di luglio