Boschi e malghe superstar
(Oscar Puntel)

Niente ferie per il centro etnografico di Sauris di Sopra che non chiude, in quest’estate 2001. Anzi terrà aperto fino al 1 aprile 2002, per una preziosa mostra, tesa a promuovere ancor una volta le ricchezze culturali e territoriali che contraddistinguono il ridente centro della Valle del Lumiei. “Vivere il bosco. Comunità alpine e risorse forestali nel Friuli tra ’500 e ‘800”: questo il titolo dell’esposizione lì visitabile fino al 16 settembre 2001, tutti i giorni, escluso il mercoledì dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 19.00. Dal 17 settembre e fino al 1 aprile 2002, invece, ogni sabato e domenica e nei giorni festivi dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00. Interessante è il connubio fra tematica e luogo della vernice: i locali che la stanno ospitando, vale a dire il “’s Haus van der Zahre”, hanno infatti la nomea di essere dinamico punto di diffusione e ricerca nel melting pot plurilinguistico che si respira a Sauris / Zahre. Quei locali sono stati proprio recuperati con la finalità di essere centro propulsore e di scambio fra attività presenti sul territorio e istituzioni esterne interessate alla cultura del paese. «“Vivere il bosco” raccoglie testimonianze da tutto il Friuli, nei documenti e nelle mappe esposte si fa comunque riferimento anche a Sauris» spiega Lucia Protto, responsabile del Centro. «La mostra è arrivata qui perché Furio Bianco, docente dell’ateneo friulano che ha curato gli aspetti scientifici e di ricerca, l’ha fortemente voluto».
Patrocinata dal Comune di Sauris, dalla direzione regionale delle Foreste e dal Consorzio Boschi Carnici, l’esposizione, cui ha collaborato nell’allestimento anche Annalisa Marini, fotografa la situazione del patrimonio boschivo del Friuli nell’età moderna: dagli aspetti tecnici ed economici, a quelli umani e sociali legati al suo sfruttamento, fino ai rapporti delle comunità di villaggio con la Repubblica di Venezia e con i confinanti commercianti di legname.
Ricco e variegato è il materiale documentario presente: mappe e disegni, sia originali che riprodotti, portati alla luce da archivi italiani e stranieri. Al centro c’è naturalmente il bosco, predominante sugli altri elementi descrittivi, con i conseguenti errori di scala, le deformazioni e le inesattezze. Il corredo iconografico e documentario comprende anche catasti di boschi, relazioni di funzionari pubblici, fotografie inedite, i primi manuali di selvicoltura, la contabilità di aziende forestali tra ‘600 e ‘700, quadri ex voto che raffigurano zattieri in difficoltà su torrenti impetuosi, salvati da S. Nicolò o dalla Madonna, modellini in legno che riproducono una teleferica, una “stua”, una segheria veneziana. A tutto questo si accompagna un catalogo dalla raffinata veste grafica.
Dai boschi alle malghe. Perché queste ultime sono invece visitabili in tutt’altra parte della Carnia. A Cleulis di Paluzza, grazie al locale Circolo culturale ricreativo, rimarrà allestita fino al 2 settembre la mostra “Le malghe in Carnia, un mondo che va scomparendo”. Essa integra un reportage fotografico di Vittorino Mecchia. Si potrà ammirare il sabato e i prefestivi dalle 19.00 alle 21.00, la domenica e nei giorni festivi dalle 10.30 alle 12.00 e dalle 18.00 alle 21.00. L’esposizione è piccola e bella nella sua semplicità. Geniale nel suo allestimento. Ogni scatto di Mecchia è accompagnato da una descrizione sentieristica e da una cartina geografica per arrivare alla malga. Una sessantina sono i pannelli che compongono la mostra e con cui vengono ritratti tutti gli alpeggi della Carnia, sia quelli che oggi si presentano sotto le sembianze di confortevoli alberghi d’alta quota, dotati di tutti i conforts, che quelli abbandonati al loro destino, di cui i più ignorano l’esistenza. Un autentico tuffo nel passato è la ricostruzione, veritiera e con dovizia di particolari, dell’interno di una casera, com’era in passato. Con tanto di ciottolata lignea per pavimento e di cjalderia per fare il formaggio. Altre foto, a corollario, raccontano la lavorazione artigianale di prodotti caseari, come ancora si fa a Malga Lavareit, dove il servizio è stato realizzato.
L’iniziativa merita di essere visitata non fosse altro perché tutta opera di volontari e di persone che si sono prodigate nell’organizzazione, portando il meglio di sé. Come dire, basta davvero poco per trasformare una serie di scatti in una album di nozze. Vuoi mai che possa essere anche un buon mezzo affinché questo mondo bucolico, così lontano e così vicino, non vada perduto. E magari appassioni le nuove generazioni.

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