Trovato deposito munizioni. Nelle gallerie la scoperta di 50 torpedini risalenti alla 1. guerra mondiale.
(Bruno Tavosanis)

Sono intervenuti gli artificieri per far brillare gli esplosivi. Possibili resti di 200 soldati Paluzza.

Durante la prima guerra mondiale il monte Freikofel, per la sua posizione strategica di spartiacque, fu teatro di duri scontri fra le truppe di Austria e Italia. Gli austriaci lo occuparono ancor prima dello scoppio delle ostilità perché da lì potevano dominare i sentieri di collegamento fra il Pal Piccolo e il Pal Grande e osservare i movimenti italiani a nord di Paluzza. La battaglia andò avanti praticamente senza soste, tant'è che nel giugno 1915 la cima passò ripetutamente di mano e in quell'occasione morirono circa mille giovani. Fra l'altro nella zona operò anche il padre di papa Wojtyla. Ebbene, i segni di quel drammatico periodo storico vengono a galla ancora oggi. Durante recenti rilevamenti in alcune gallerie, gli speleologi della Società adriatica di Trieste hanno scoperto un deposito di munizioni contenente un cospicuo quantitativo di ordigni fra i quali spiccavano, oltre a bombe a mano e proiettili di artiglieria, circa cinquanta torpedini "Bettica". Si tratta di bombe a forma di tubo della lunghezza di 70 centimetri contenenti esacrite, un potente esplosivo impiegato per aprire varchi nei reticolati. «Gli ordigni si trovavano lì da diverso tempo ma non sapevamo se fossero in territorio italiano o austriaco - spiega Lindo Unfer, presidente dell'associazione "Amici delle Alpi Carniche" di Timau - nel primo caso saremmo stati obbligati a sporgere denuncia, nel secondo no. Abbiamo perciò chiesto aiuto agli speleologi che, fra l'altro, hanno ritrovato altre munizioni oltre a quelle individuate da noi». I carabinieri sono subito stati informati del ritrovamento e, dopo il sopralluogo del maresciallo Dosso, comandante della stazione di Paluzza, sono intervenuti gli artificieri del nucleo antisabotaggio di Udine, capitanati dal luogotenente Patrizio Falcomer. Tutto il materiale è stato trasportato all'ingresso della galleria al fine di porre nel migliore dei modi le cariche di tritolo per farle brillare. L'esplosione è avvenuta con i carabinieri posizionati ad una distanza di sicurezza di circa 30 metri. «Ritrovamenti, anche di resti umani, ce ne saranno ancora molti - conclude Unfer - riteniamo siano almeno 200 i soldati caduti in queste zone dei quali si devono ancora recuperare le spoglie».

www.ilgazzettino.it

Gli speleologi trovano un arsenale. Gli artificieri dei carabinieri intervenuti sul posto hanno fatto brillare gli ordigni.
(Antonio Simeoli)

Una cinquantina di tubi esplosivi rinvenuti in una galleria poco distante dal confine.

Una cinquantina di torpedini “Bettica”, bombe a forma di tubo della lunghezza di settanta centimetri contenenti esacrite, un potente esplosivo che durante la Prima Guerra mondiale veniva impiegato dalle truppe italiane per aprire varchi nei reticolati. Questa la parte più significativa della vera e propria “Santa Barbara” in alta quota scoperta da un gruppo di speleologi triestini della Società Adriatica di Speleologia durante i rilevamenti di alcune delle gallerie della Grande Guerra sul Monte Freikofel, imponente massiccio roccioso sopra Timau sullo spartiacque italo-austriaco. Non si tratta certo dei primi ritrovamenti del genere in alta quota, ma la quantità di esplosivo rinvenuto è di tutto rispetto. Gli speleologi, affiancati da Lindo Unfer del Museo Storico della Grande Guerra di Timau, hanno subito sollecitato l’intervento delle forze dell’ordine. Così, dopo un primo sopralluogo dei carabinieri della stazione di Paluzza, sono intervenuti da Udine per il brillamento dell’esplosivo gli artificieri dell’Arma. «Gli ordigni - ha spiegato il luogotenente Patrizio Falcomer, comandante del Nucleo - venivano innescati dagli alpini attraverso una miccia. Al momento del ritrovamento risultavano ancora perfettamente funzionanti e per questo, ottenuta la necessaria autorizzazione dalla Prefettura, la scorsa settimana abbiamo provveduto a mettere in sicurezza la zona facendo brillare l’esplosivo. Le operazioni hanno richiesto una giornata di lavoro anche per la difficoltà di raggiungere la galleria posta in quota in località Selletta sul monte Freikofel». Il timore ora è che qualcuno nella galleria sopra Timau possa esserci già entrato in precedenza, senza esserne uscito a mani vuote. Ed è questa la preoccupazione dei carabinieri.«La zona, infatti, anche secondo quanto riferitoci da Lindo Unfer - ha spiegato ancora Falcomer - è molto frequentata dagli appassionati della Grande Guerra, sempre in cerca di cimeli e reperti d’ogni genere. Potrebbe essere accaduto, allora, che qualcuno si sia portato a casa un esemplare di torpedine, trovandosi ora, magari inconsciamente, in casa una miscela esplosiva molto pericolosa». Piccolo giallo in alta quota, dunque, nella speranza che le ipotesi dei carabinieri non siano confermate dai fatti. Frattanto, prima delle operazioni di disinnesco dell’ordigno, come hanno riferito gli stessi artificieri, è stato determinante il supporto degli speleologi triestini anche per dirimere una controversia non da poco: l’effettiva “cittadinanza” dell’esplosivo ritrovato. La galleria scavata nella roccia si trova, infatti, proprio sulla linea di confine italo - austriaca, anche se, come è stato attentamente verificato, per alcuni metri in territorio italiano. «Quell’esplosivo - ha spiegato Lindo Unfer, del museo storico della Grande Guerra di Timau - quasi certamente è stato abbandonato dalle nostre truppe quattro giorni dopo la disfatta di Caporetto, quando, anche all’ombra del Freikofel, arrivò l’ordine di ritirata dietro la nuova linea difensiva Grappa-Piave».

Ora si cerca di realizzare un museo all’aria aperta. Anche il padre del Papa combatté sul Freikofel.

(A.S.) Il monte Freikofel, detto anche Cuelat, è un imponente massiccio roccioso alto 1775 metri posto sopra Timau, al centro delle Alpi Carniche. La cima, non lontano dalla quale è stato trovato l’ingente quantitativo di esplosivo, fu occupata dagli austriaci ancor prima dello scoppio della Grande Guerra. Curiosità vuole che su questa imponente piramide rocciosa, praticamente inaccessibile dal versante italiano, vi operò inquadrato in un battaglione polacco anche il padre di Papa Wojtyla. Era una vetta altamente strategica, insomma, e per questo lassù i combattimenti non ebbero mai sosta, spesso ridotti ad un’estenuante lotta corpo a corpo come avvenne nel mese di giugno 1915 quando la cima in pochi giorni fu persa e ripresa dagli eserciti che lasciarono sul campo un migliaio di uomini. Nei mesi successivi a una serie interminabile di attacchi partiti da quelle trincee, camminamenti e gallerie che i contendenti costruirono a tempo di record. Vere e proprie opere di ingegneria che da qualche tempo l’Associazione amici delle alpi carniche guidata da Lindo Unfer, in collaborazione con gli speleologi e volontari dell’Associazione Nazionale Alpini, sta cercando di ripristinare. I volontari fanno a gara per salire in quota e riportare alla luce un pezzo di storia. Obiettivo, dal 1998, è quello di realizzare un museo all’aperto, sulla scia di quello recentemente ultimato sul Pal Piccolo dall'associazione austriaca “Dolomitenfreunde”, tracciando una via maestra per un ideale esempio di fraternità e di pacifica convivenza tra i popoli.

www.messaggeroveneto.it


< Torna alla pagina di agosto