Carnia, il paese diventa albergo
(Alberto Garlini)

Promozione culturale e rilancio economico dal recupero dei vecchi borghi abbandonati. Piace ai villeggianti la soluzione turistica di Maranzanis ideata da Leo Zanier.

Leonardo Zanier, durante un incontro di poesia di qualche anno fa, disse che i friulani, grazie ai loro fogolârs e alle strette relazioni che gli uni con gli altri mantenevano in tutto il mondo, avevano inventato internet prima di internet. Non è strano quindi che sia stato proprio Leonardo Zanier, un poeta impegnato come sindacalista, che vive da anni in Svizzera ma è legatissimo alla sua terra d’origine, a immaginarsi la via friulana alle multinazionali e alla globalizzazione. Perché è proprio così: l’albergo diffuso Borgo Carnia Vancanze di Maranzanis, il paese natale di Zanier, e la cooperativa che lo sostiene e promuove sono proprio una risposta carnica ai problemi della globalizzazione. Per capire come una cosa del genere possa succedere bisogna fare qualche passo indietro e raccontare di un paese, Maranzanis appunto, che ha visto scendere la propria popolazione dalle duecento unità che contava dopo la fine della guerra alle 38 di adesso. Un paese che ha provato sulla sua pelle la fame, l’emigrazione, lo spopolamente, il crollo dell’agricoltura, il terremoto; un paese di cui restano solo le bellissime case, le viuzze, i vecchi, lo sfondo naturalistico perfetto, i monti e le erbe, l’incanto intatto di un luogo sottratto al cemento. E un grande numero di emigranti, sparsi in tutto il mondo, in Lussembrugo, Australia e Svizzera, che tornano ogni tanto nelle case dei padri, per ricordare la loro origine. A questa situazione desolante, e simile a tante zone della montagna friulana, bisogna aggiungere un poeta, Leonardo Zanier, nato fra quelle case, costretto anch’esso all’emigrazione, e che sull’emigrazione ha costruito il suo primo e straordinario libro: Libers… di scugni là. Chi non ricorda i suoi celebri versi, che denunciavano una insostenibile, ma sostenuta, condizione di sradicamento: «La valîs di un emigrant | no an peçots denti | ma sperança | e sperança las sôs mans | ma sôl las primas voltas | dopo il so non: | emigrant | al deventa il so mistîr | e al impara ch'a nol va par vivi | ma par no murî». Da questa miscela di sfacelo rurale e di volontà umana nasce, immediatemente dopo il terremoto, un’idea che si concretizza oggi: ristrutturare le case vuote, di un borgo quasi abbandonato fare un albergo diffuso; riempire la popolazione indigena mancante con il turismo, e attraverso il turismo rigenerare l’economia agricola locale, e non solo, probabilmente anche l’assistenza tecnica e i servizi, potrebbero avere un notevole sviluppo. Dopo molte discussioni il progetto è diventato operativo, si è creata una cooperativa che gestisce l’albergo, i locali sono stati sistemati per il nuovo scopo, il Comune ha costruito le infrastrutture, e il borgo che sembrava perdere vita si sta rivitalizzando coi turisti che arrivano numerosi. La cooperativa è formata dai proprietari delle case, emigranti e figli di emigranti che abitano in tutto il mondo, dal Comune e dal presidente della Pro loco: è, come si diceva, una piccola multinazionale. La piccola, ma intelligente, risposta carnica alla globalizzazione. «L’attività dell’albergo diffuso – dice Leonardo Zanier mentre camminiamo per i vicoli di erba, ghiaietto e sassi di Maranzanis, per visitare le diverse case che formano il Borgo Carnia Vacanze –si è aperta nel marzo di quest’anno con un convegno di sindaci europei, sloveni, austriaci, italiani, che aveva per tema proprio il recupero dei borghi rurali. In Friuli il problema è più grave che altrove, perché non c’è stato investimento per l’agricoltura di montagna. In seguito abbiamo ospitato un corpo di ballo di Venezia che è venuto da noi per fare delle esercitazioni. In agosto per fortuna è tutto pieno, viene gente che ha voglia di camminare, che ha voglia di tranquillità, e d’inverno le piste sciistiche sono vicine». E la tranquillità è davvero la nota dominante del paesaggio, stradine silenziose, grandi spazi verdi, piante da poco piantate e alberi secolari. Ogni tanto si intravvede una macchina che s’inerpica per i sentieri, e ovunque si nota cura e amore, grandi scuri di legno, pietre solidissime, muri tinteggiati di fresco. È come un grande cantiere, Maranzanis, come un albero che fiorisce, come un ammalato che si ristabilisce e guarisce. «Abbiamo una sala polifunzionale, e più di sessanta posti letto – continua Zanier –, due persone lavorano in modo continuativo per la cooperativa, quindi stiamo dando una risposta anche alla disoccupazione. L’unico cruccio è che non siamo ancora riusciti ad avere il ristorante. Volevamo situarlo in una bellissima casa di proprietà di cinque fratelli che vivono in Australia. Abbiamo telefonato, li abbiamo convinti, ma ancora non si decidono. Quindi ci siamo convenzionati con alcuni ristoranti nella zona e i nostri ospiti possono scegliere dove andare a mangiare, anche se le nostre camere sono tutte dotate di cucina». Alcune delle sei case divise in camere, che formano l’albergo diffuso, hanno mantenuto i vecchi mobili, l’arredamento ottocentesco, altre invece sono modernissime, hanno cucine e bagni estremamente nuovi ma funzionali, le lampadine a vista, creando un gradevole contrasto, un giusto rinnovamento, fra passato e futuro. Parliamo delle scelte architettoniche con l’architetto Toson, uno dei curatori del progetto: «L’investimento complessivo per questo progetto è stato di circa tre miliardi – spiega –, di cui un miliardo e quattrocento milioni vengono da finanziamenti pubblici, il resto da parte dei proprietari e del Comune. Devo dire che lo strumento urbanistico che dettava i parametri architettonici aveva maglie larghe, ma, nonostante questo, una certa omogeneità è stata mantenuta. Abbiamo cercato di recuperare i concetti fondamentali della architettura carnica, il recupero degli elementi sostanziali. La casa carnica è essenziale, ammette l’ornamento in pochissimi casi, è quasi un minimalismo d’avanguardia, e non si presta ad assurde reinvenzioni della tradizione: le grondaie di rame non possono starci. Noi abbiamo scelto, per essere fedeli a queste idee, il cemento armato e le lamiere zincate e ci sono state montagne di polemiche». Forse ci saranno state polemiche ma la sobrietà degli arredi interni, e delle facciate, sta benissimo col paesaggio circostante, non lo violenta né lo sovraccarica, come spesso succede invece per quelle case di montagna che sembrano le case dei puffi, tanto sono colorate e ornate. Anzi cerca, grazie alle grandi vetrate e allo spazio libero da fronzoli, di portare i monti dentro le camere, il sole, l’aria. Certo è che solo un grande amore e una grande passione possono spingere tante persone a litigare, a riunirsi per anni, per inventare qualcosa che salvi la terra e le case delle loro radici, senza trasferirle in mondi immaginari, senza lamentarsi, ma rinnovando il vecchio e rendendolo aperto e disponibile al presente. Sapendo che si vive e si pensa nell’oggi, che qualunque cosa deve vivere oggi e con le regole di oggi, e non in un passato inventato e tenuto sotto vetro.

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