Il Prenschtaan

C ’era una volta a Timau (e c’è ancora), in località Velt, un sasso gigantesco, inaccessibile, alto circa quattro metri; si narra che al- l’interno ci fossero dei neonati e che le neo-madri potessero ndarli a prendere dopo averli scelti.
Il masso, ben nascosto e protetto da arbusti e rovi che crescono tutt’intorno, presenta una piccola rientranza e qualcuno vi ha inserito un quadretto che raffigura la Madonna con Gesù Bambino in braccio. La leggenda vuole che, un tempo, le chiavi per aprire il sasso e prelevare i neonati, le avessero la Bircharin e la Nec, le due levatrici del luogo; ora, depositaria delle chiavi, si dice sia Evelina Matiz, perchè abita nelle vicinanze. Ancora adesso chi passa di là senza fare troppo chiasso, riesce a sentire i bambini piccoli piangere all’interno del sasso. Io non ho la minima idea del perchè si racconti tutto ciò, forse per spiegare ai bambini piccoli la loro nascita? Chi lo sa?
Arrigo Olivieri
 
 NOTE: MIA NONNA EVA RACCONTA
 
Oggi ho intervistato mia nonna Eve, e mi ha raccontato un sacco di cose sul “Prenschtaan”. Mentre ci godiamo un timido raggio di sole primaverile, la nonna mi dice che, quando morì l’ultima ostetrica di Timau, le vennero affidate le chiavi del grande sasso. Le usò ben poco perché i tempi erano cambiati, i bambini cominciarono a nascere all’ospedale di Tolmezzo. Lei, però, ricorda ancora i vecchi tempi quando accompagnava le mamme davanti alla porta del “Prenschtaan” , assieme a loro pregava la Madonna (ancor oggi presente in un’icona del sasso) perché gli concedesse la grazia di avere un figlio . Se si saliva a pregare quando c’era la luna piena, sarebbe nato sicuramente un maschio, se la luna nuova nasceva una femmina. Scopro anche che mia nonna sapeva riconoscere il sesso del bambino attraverso il pianto. Quando gli strilli erano potenti era maschio, il pianto della femmina invece, era più dolce. Oggi, dato che le mamme si affidano all’ospedale, davanti alla porta del sasso è nato un albero di Lillà, che non permette a nessuno di entrare e, per noi bambini moderni, l’interno del “Prenschtaan” rimarrà sempre un mistero.
Roberto Maieron intervista la nonna Evelina Matiz
 
 
A ere une volte e al è incjemô a Tamau, su in tal Velt, un clapon ca no si riva a montâ sora, perceche al è masse grant. Al è alt cuasi cuatri metros e si conta che aì denti a setin i fruz che àn di nassi e che las lôr maris a podevin lâ aì a cjoliu dopo veiu siel¡ûz.
Il clap al à davant una picula busa dulà che cualchidun al à metût un cuadrut cun la
Madona cun Gjesù tal brac. La storie a vûl che un timp las clâfs par viergi il clap e tirâ fûr i fruz a las vevin nome la Birckarin e la Necc, ca erin las comaris dal paîs; in zornada di vuei las clâfs a las à la Evelina Matiz parceche a sta aì dongja. In zornada di vuei sa si passa lì dongja cenca fâ confusion a si sintin inmò vaî i fruz.
Io i pensi che cheste storie a l’àn tirada fûr par contâ ai fruz cemut ca nessevin.
Cui lu saia?
Alessandro Puntel
 
 
I s gabeisn a mool af Tischlbong unt iis nouch hiaz a grosar schtaan, oum in Velt, polda viar metros hoach, as drina da chlaan chindar hott unt bo da miatar meink aus gian suachn is see asa belnt. Voroon, avn chlopf, is a chlaa leichl bo iamp a piltl hott gatoon var Muatargotis min Heargoot in oarm. Is liandl bilt as a mool da sghlisl hiatnsa da Birckarin unt da Necc ckoot, as da zba heibongin sent gabeisn van doarf; hiaz da sghlisl hozza da Evelina Balsa seem zuachn plaip; Nouch in haint mendis schtildar afta seen saitn virpaai geat, heartis plern da chindar. Is is liandl boarn auf procht zan darzeiln in chlaan chindar bi da chindar gapearnt? Niamp bast.
Sara Plozner

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